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Friselle salentine, non tutte le ciambelle riescono senza buco.

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Frise, friselle o frisèddhe, nel Salento,  il buco non ce l’hanno, ché a noi piacciono piene, ciccione e da riempire a montagnetta di pomodori e condimenti vari, e ci piace pure mangiare an chinu (in pieno, a morsi grossi, non come gli uccellini), quindi niente buchi.

Sappiamo tutti cosa sono le friselle vero?
La frisèddha è un pane di piccole dimensioni impastato con farine locali, tradizionalmente di grano duro o di orzo o entrambe, oggi spesso mescolate l’una e/o l’altra con quella di grano tenero, [soprattutto per ottenere le friselline, di piccole dimensioni e da sgranocchiare anche senza essere ssuppate (inzuppate d’acqua)], impastata con acqua, lievito e sale in forme circolari che subiscono una doppia cottura, fino ad ottenere una sorta di pane tostato che si consuma previa sponzatura (bagnatura).

Le classiche frise sono definite anche “pane dei crociati” perché attorno ad esse aleggia una leggenda di tantissimi anni fa.
Si narra infatti che i crociati in partenza dai porti salentini di Otranto, Brindisi e altri piccoli porti pugliesi per la destinazione della Terra Santa, si approvvigionassero di una buona scorta di friselle, poiché il viaggio era lunghissimo e dovevano alimentarsi durante quel percorso così faticoso, così i salentini hanno inventato questo pane biscottato, che durava mesi e mesi mantenendosi fragrante.
E poi,  per ammorbidire le frise che facevano i furbi crociati? le ssuppavano direttamente nell’acqua salata del mare! Hai capito i crociati! e hai capito che mare pulito!

Dai, vi lascio la mia ricetta, in cui ho usato una meravigliosa
farina di grano (qui si intende farina di grano duro integrale) che mi
ha regalato, insieme ad altri meravigliosi prodotti locali salentini, la mia
adorata Maya che ha i suoceri tarantini, farro integrale, anche questo
sfarinato tradizionale salentino e una punta di grano saraceno, tanto
per non farci mancare una nota trasgressiva.

 RICETTA

Frise di grano, farro, grano saraceno
cliccare per ingrandire l’immagine


Ingredienti:

200 g licoli rinfrescato
600 g di farina di grano *
200 g di farro integrale
100 g di grano saraceno
600 g di acqua
  25 g di sale

– Idratare il sale in 30 g di acqua.

– Sciogliere il licoli nell’acqua restante.

– Unire le farine e impastare.

– Aggiungere il sale idratato e portare a incordatura. Lavorare l’impasto
sulla spianatoia, così l’impasto capisce bene bene ci cumanna (chi comanda).

– Far lievitare fino al raddoppio.

– Porzionare in pezzi da circa 130 g (o come si preferisce. questa è il peso
delle friselle grandi, 60 g circa a cottura finita)

– Formare dei filoncini da 20 cm (più o meno), schiacciarli leggermente e
chiuderli ad anello, la parte sottile della losanga deve essere il basso, comu stae susu la fotu (come si vede in
foto).

– Disporle cucchie cucchie (vicine
vicine)
nella teglia spolverata di farina di grano, (diciamo vicine) così
quando lievitano saranno spinte verso l’alto, magari frapponendo fra una e
l’altra della carta forno, per non aver problemi poi a separarle.

– Far lievitare fino al raddoppio.

– Cuocere a 180 gradi  possibilmente
resistenza solo sotto per circa 15/20 minuti. Le frise saranno pronte quando
saranno cotte ma morbide.

– Quando saranno ancora calde, si devono spaccare
(spaccare),
col coltello incidere la còcchia (coppia, si capirà tosto perché si chiama così la ciambella di pane) a metà altezza, insinuarci uno
spago, incrociarlo e tirare i capi finché la cocchia non si scocchia, cioè si
divide in due, ottenendo due parti,  friseddhre
te sutta
(friselle di sotto) e friseddhre te susu (friselle di sopra),
distinguibili fra loro poiché la prima appare più schiacciata e dura per il
contatto avuto con la chianca (mattone) del forno ovvero con il piano di
cottura. La friseddhra te susu, invece, più bella esteticamente,
conserva ancora una mezza forma toroidale Minchia! (Perdindirindina!).
Per una perfetta riuscita queste
devono essere spaccate appena sfornate, e poste subito a biscottare, un
eccessivo ritardo in questa sequenza provoca la riuscita di friseddhe
‘mpitruddhate
, dure, che si imbibiscono d’acqua con difficoltà e in modo
non omogeneo o nnuticuse, cioè che si deglutiscono con difficoltà.

Fondamentale l’uso dello spago per fa sì che si creino,
lungo la superficie tagliata su entrambi i lati, delle increspature, quelle che
raccoglieranno tutto il succo del condimento.

– Una volta tagliate, disporre sulla griglia, col culo sotto (embé, pure Dante
diceva culo!) le friselle de sutta e de susu sulla griglia, e farle mpiscuttàre (biscottare) a temperatura più
bassa, 160 gradi, se con la funzione ventilato è meglio, e lo sportello a
fessura. Io ci ho messo circa un’ora e le ho lasciate raffreddare nel forno.

Essendo biscottate, se correttamente conservate, possono mantenersi
anche oltre tre mesi, a patto di riporle negli appositi recipienti di
terracotta (capase). Vanno bene anche delle buste per alimenti
rinforzate, suvvia!. Se lasciate all’esterno, anche solo per poche ore, perdono
la loro  caratteristica croccantezza,
sino a risciuncare (impossibile tradurre, direi ammosciare?, come per
i biscotti lasciati fuori dalla confezione per qualche ora).

  * (il grano salentino non si trova altrove, scegliere, in alternativa,
uno dei  seguenti sfarinati di grano duro: farina di grano duro,
semolato, semola integrale, semola non rimacinata, semola rimacinata.)

Tempi indicativi (quelli che ho usato io):

mattina
: impasto
primo pomeriggio: formatura
sera: cottura e mpiscuttamento

a volte, impasto la sera e lascio maturare in frigo, così la mattina prima di andare a lavorare tiro fuori dal frigo e lascio lievitare senza patema fino al ritorno a casa nel primo pomeriggio.

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DI PERTINENZA
Quando e come si consumano le friselle?
Quando? Sempre! Soprattutto d’estate,  è un piatto fresco, digeribile e facilissimo da preparare, e davvero versatile, ma.
Ma, fondamentale, è la sponzatura (bagnatura). Bisogna seguire un protocollo preciso, altrimenti si rischia di ottenere una pappetta  informe e sfatta.
Potremmo fare come i crociati ed andare a bagnare le friselle al mare, però rimane un po’ difficile ogni volta trovare una barca, andare al largo e spunzare una frisa!

Quindi,
innanzitutto, bisogna decidere se si preferisce la frisèddha te sutta, più compatta e più resistente all’azione pappolosa dell’acqua, e che rimane croccante anche dopo la sponzatura, oppure la frisèddha te susu, più friabile e quindi più disposta a trattenere maggior acqua e quindi ammorbidirsi.

Poi, NON si deve profanare la frisa direttamente sotto il rubinetto, NON si deve annegare la frisella dentro una ciotola e NON si deve bagnare a rate, con timide mestolate d’acqua.
     L’ideale sarebbe usare lo sponzafrisèddhe. Non sapete cosa è lo sponzafriselle??????  E’ una ciotola di terracotta piena d’acqua fresca, in cui la frisella, con la parte rugosa sopra, viene calata e cacciata velocemente  dall’acqua due o tre volte, e poi viene posta a colare l’acqua in eccesso su una mezzaluna forata posta sulla ciotola stessa. Iti la fotu (guarda la foto).
    In questo modo, anche se inumidite, le frise rimangono fragranti e croccanti.
Si trasferiscono nel piatto, si insaporiscono con un abbondante filo d’olio e con lu criddhu o riddhu
(i semi e l’acqua contenuti nei pomodori) si condiscono a
piacimento, con pomodori, origano e sale, a cui si possono aggiungere
tonno, o alici sotto sale, e le fette di minunceddhe (cetrioli caroselli o poponelle), olive nere, rucola selvatica, formaggi vari, cipolla, sottaceti e chi più ne ha più ne metta!
     Quando ero piccola mi piacevano tantissimo inzuppate nel latte, preferivo quiddhe de susu (quelle di sopra).
     E poi, una vera chicca, sono meravigliose bagnate con brodo di pesce e consumate con la zuppa di pesce.
     E poi, si mangiano esclusivamente con le mani, assolutamente vietato l’uso della forchetta!

  E poi….. e poi ce sta spittati (cosa aspettate)???? Facìtile (fatele)! Vedrete, non ci sono paragoni con quelle comprate al super!

Ma la frisèddha non è solo pane.
Modi di dire
:

ssuppatu a friseddha
: bagnato fradicio
ti fazzu a friseddha: colpire fino a ridurre a persona informe
ndi ssuppamu ‘na friseddha: invito al convivio, anche se non si
consuma la frisella
ruzzulisciare: crocchiare tra i denti della frisa non bagnata.

altre foto: http://visionigustative.blogspot.com/2014/07/friselle-di-grano-farro-e-grano.html

link di approfondimento da cui ho spudoratamente attinto per la stesura del post:
http://www.fondazioneterradotranto.it/2012/09/26/tutto-cio-che-avreste-voluto-sapere-sulla-frisella-e-non-avete-mai-osato-chiedere/

 

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DIVAGAmente


La grotta della Poesia è stata una conquista da ragazzina. Ci andavo a 15 anni perché mi piaceva tantissimo tuffarmi e la Poesia era una specie di traguardo per i buoni tuffatori. Di solito mi riscaldavo tuffandomi dagli scogli vicini, quelli che davano nel mare, quelli più alti. Però più facili. Cioè ti tuffi anche da 5 metri ma sotto il mare è profondo e al massimo prendi una panzata, invece la Poesia è pericolosa perché lo scoglio non è altissimo, il fondale è basso e, se non ti lanci bene con l’assetto giusto, ti fai male, anche molto male, anche molto molto male, anche…le anche sono fondamentali e devono star tese, mi raccomando, tamara!! (questa è la voce di mio padre, mi ha insegnato le cose fondamentali della vita, a tuffarmi, a nuotare, ad arrampicarmi sugli alberi,  a sputare,  ad usare il trapano, a fischiare, a cambiare la ruota dell’auto e a rub.. a prendere in prestito i fichi dagli alberi dei vicini).
                             Se chiudo gli occhi vedo gli scogli sotto…
perché il fondale della Poesia è scoglio, mica sabbia, e l’acqua limpidissima, sicché a guardare dall’alto par quasi di tuffarti sulla roccia, una specie di suicidio!
Poi,
dopo tanti tuffi andavo a sognare nella galleria. Un piccolo tunnel, lungo una trentina di metri, che collega la conca al mare aperto. E’ una sensazione magica.

Senti solo il rumore del mare e quello del tuo respiro. Il riverbero della luce si incrocia e si fonde col verde dell’acqua.  E poi c’è un’atmosfera ovattata. Lo sguardo lento e pigro si sposta sulla  roccia bagnata che forma dei piccoli rivoli, poi vagola sullo specchio in cui galleggi e vedi contemporaneamente le pareti di scoglio, la roccia del fondo, l’acqua trasparente, il verde, l’azzurro, il marrone, la luce, l’ombra e le tue mani che si muovono lente…lente…lente…soggiogate dall’atmosfera antica che si respira sulle pareti tracciate di segni e figure preistoriche. E dalla leggenda che racconta di una bellissima principessa che faceva il bagno in queste grotte, e di schiere di poeti che l’ammiravano e cantavano di lei.

dedicato a te, che mi hai insegnato le cose fondamentali della vita

La grotta della Poesia è stata inserita, dal sito Travel365, nell’empireo delle dieci piscine naturali più belle del mondo. Situata a Roca Vecchia, ha ottenuto quest’anno, insieme alle altre marine di Melendugno, anche la bandiera blu per il quinto anno consecutivo, e le 5 Vele, una delle 14 attribuite in tutt’Italia,  per il terzo anno consecutivo.

Salentu, lu sule lu mare lu ientu.

Tamara

CONTESTUALmente

Queste sono le bellissime friselle della mia socia Emmettì, fatte in tempo reale! E pronte per i crociati, che le trasportavano così, come vi fa vedere lei, raccolte da uno spago che attraversava il buco…. ah ma allora ai tempi il buco c’era!!!!!!

e queste quelle di Silvia, friselline mignon da addentare senza neppure tuffarle a mare!

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