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Cicatelli di grano arso con crema di cicoria, burrata e alici e ogni scarrafomamma è bella a figlia soja

Quando ho letto la ricetta su un giornale, ho capito che era arrivato il momento. Sì, ho sentito un rigurgito fortissimo di coraggio, sapete di quelli che: questa cosa non la farò mai, troppo difficile, no no no, verrebbero ciofeche, no e poi no, e poi all’improvviso il leone che è in noi (o in Emmettì🙂 esce fuori ruggendo spavaldo, sì! Si può fare! Farò i cicatelli, la pasta fatta in casa che mangio da sempre,  e non intendo che li cucinerò, ma li farò proprio! Prendo armi, bagagli, grano arso e coraggio e corro da lei, la maestra di cicatelli, mia madre, per farmi aiutare. E’ andata a finire che li ha fatti lei, la Giovanna, non  potevo rischiare che venissero dei vermi informi dalle lunghezze variabili, io ho fotografato e filmato. Però poi, le ultime due striscioline di pasta le ho fatte io, giuro!
Ma cosa sono i cicatelli?

I cicatelli, specialità pugliese, sono un tipo di pasta corta lavorata a mano ricavata da un impasto di farina di semola e acqua e hanno una forma allungata ottenuta schiacciando l’impasto sulla spianatoia. Ricordano lontanamente la forma di una barca, sono simili ai cavatelli ma più lunghi, senza apertura centrale, piuttosto dei “segni” che si creano con le dita durante la lavorazione. Adatti quindi, ad essere conditi con sughi di un certo spessore, salse a base di carne o di verdure fortemente saporite come rucola, cima di rapa, radicchio, ecc.

In questa ricetta ho trovato interessante la variante con la cicoria, parzialmente ridotta in crema, dolce e delicata, con l’aggiunta della burrata, dal gusto leggero, a condire i cavatelli impastati con grano arso, (di cui le mie socie hanno abbondantemente parlato nel post delle orecchiette) che invece hanno un gusto deciso e un profumo intenso. L’aggiunta delle alici sott’olio e del peperoncino aggiunge forza e brio ad un piatto semplice, colorato e d’effetto!

RICETTE

CICATELLI DI GRANO ARSO
clicca per ingrandire

Ingredienti per 4 persone:

100 g di semola di grano duro Senatore Cappelli
100 g di semola rimacinata di grano duro
  50 g di grano arso
130 g di acqua
    1 pizzico di sale


Preventivamente procurarsi, ove possibile, una nonna papera, una mamma bravissima a fare la pasta in casa
(meglio se a casa sua, così poi tutto il casino lo pulisce lei), e un
nipotino bellissimo, simpatico, chiacchierone e volenteroso, per farsi
aiutare nella rognosissima operazione di mettere in fila la pasta nei
vassoi. Poi procedere come di seguito, oppure fotografare e filmare mentre la mamma suddetta procede come di seguito.

Procedimento:

– In una ciotola miscelare le farine con le mani e poi versarle su un piano di lavoro formando la classica fontana.
– Al centro versare l’acqua in cui si sia sciolto il sale ed iniziare ad impastare fino a formare un impasto omogeneo ed elastico.

– Quando sarà perfettamente liscio, avvolgerlo con della pellicola alimentare e lasciarlo riposare a tempertura ambiente per 30-40 minuti.
– Su una spianatoia infarinata tirare la pasta col mattarello o con la nonna papera (la macchina per la pasta) fissando la distanza tra i rulli al massimo, insomma mettere alla tacca più larga, per capirci.
– Appiattire un po’ l’impasto, infarinarlo, piegarlo su stesso tre o quattro volte e passarlo nella macchinetta. Ripetere questa operazione almeno 4 o 5 volte.
– Tagliare delle strisce larghe dai 5 ai 5,5 cm.
– Dalle strisce ricavare delle fascette larghe circa un cm.
–  Poggiare i polpastrelli di 3 o 4 dita sulla fascetta, fare pressione strascinando la pasta sul tagliere, farla rotolare su se stessa e passare alla successiva. Via così fino ad esaurimento della mamma dell’impasto.
– Chiedere al nipotino di disporre la pasta su un vassoio infarinato.
– Far seccare la pasta almeno mezza giornata, io preferisco una giornata intera.

Se non s’è capito come si formano i cicatelli, dare un’occhiata al video sotto.
CICATELLI DI GRANO ARSO CON CREMA DI CICORIA, BURRATA E ALICI

Ingredienti per le 4 persone di cui alla precedente:

350 g di cicatelli di grano arso
800 g di cicoria catalogna (preferibilmente con foglie e cuori)
    1 burrata (250 o 300 g)
    6 filetti di alici sott’olio
    1 spicchio d’aglio
2/3 cucchiai di olio extravergine d’oliva
 q.b. di peperoncino piccante fresco o secco
 q.b. di sale .

Procedimento:

– Mondare e lavare accuratamente  foglie e cuori della cicoria.
– Portare a ebollizione una pentola di abbondante acqua salata,  lessare la cicoria catalogna per una decina di minuti, quindi scolarla conservando l’acqua di cottura.
– Nel frattempo, in una padella rosolare nell’olio uno spicchio d’aglio sbucciato e schiacciato, le alici sminuzzate e peperoncino piccante a volontà.
– Quando le alici saranno sciolte rimuovere l’aglio, unire le cicorie e farle insaporire per qualche istante.
– Con l’aiuto di un frullatore ad immersione frullarne una parte fino a formare una crema.
– Lessare i cicatelli nell’acqua recuperata dalla cottura della cicoria, scolarli (ricordarsi di prelevare una tazza di acqua prima) e saltarli in padella con gli altri ingredienti, aggiungendo se necessario qualche cucchiaio di acqua della pasta.
– Dividere la pasta condita nei piatti e distribuirvi al momento fiocchi di burrata fresca.
– Credo sia cortesia invitare a pranzo almeno la mamma e il nipotino!

DI PERTINENZA
La Burrata è un formaggio fresco a pasta filata, prodotto in Puglia, nella zona delle Murge e in particolare ad Andria, sua città natale. Anche se ricorda la mozzarella la sua consistenza è molto più morbida e filamentosa. È fatta con latte di mucca e ha una forma sferica tra i 7 e 10 cm di diametro.
Dalla forma di una nuvola, candida, liscia e morbida, ha l’aspetto di un piccolo sacchetto di pasta filata, bianco e lucido, dello spessore di circa 2 mm. Questo sacchetto, fatto a mano, rinchiude un morbido cuore di “sfilacci” di pasta filata e panna chiamato stracciatella. Il nome non è casuale e deriva dalla modalità di preparazione, con cui la pasta filata viene “stracciata” a mano per formare pezzi (lucini) di forma e lunghezza irregolari. Il peso di una buona burrata può variare dai 100 g a 1000 g. Il gusto, inconfondibile, è dato dal sapore di latte fresco o cotto unito a burro e panna. Il modo migliore per gustare questa vera e propria delizia è un assaggio che unisca la sacca esterna e la stracciatella in un unico boccone.
La storia della burrata è un racconto interessante e bizzarro (e ti pareva). È sicuramente figlia dell’arte casearia pugliese e della sua città natale, Andria, in particolare, ma il suo inventore ha un nome e un cognome. Proprio ad Andria, in questa città stesa tra le pendenze delle Murge e l’Adriatico, nel 1956, Lorenzo Bianchino lavorava presso la masseria Piana Padula, nella quale venivano prodotti formaggi a pasta filata ripieni di burro, chiamati manteche.
Fu nel 1956, anno di una straordinaria nevicata che rendeva difficili i trasporti, che il signor Bianchino, ebbe un’idea: creare una specie di sacchetto con la pasta della mozzarella per conservarvi all’interno la panna e la stracciatella. In questo modo, da un’idea semplice e geniale, nacque la Burrata che, in poco tempo riscosse uno straordinario successo in Italia e nel mondo, fino a divenire un prodotto simbolo di un’intera regione.
(mi viene il dubbio che il Bianchino avesse origini nordiche, un uomo del sud, un giorno di straordinaria nevicata che rendeva difficili i trasporti, avrebbe impiegato il suo tempo altrove ed in altro modo. Certamente 😉 )

DIVAGAmamma

Mia madre è un soggetto, come dire, una tipa. Ogni scarrafamamma è
bella a figlia soja, ma a me mia madre fa morire. A parte la mammitudine
e l’amorevolezza di cui è capace (molto ruspante ma genuina e tanta,
nonostante io sia ormai bella stagionata e madre a mia volta, sempre
figlia mi fa sentire), mi fa morire dal ridere per tre cose:
– per la schiettezza, come dire, non te le manda a dire, tipo: tanti auguri cara, ti ho portato un panettone. “un panettone??? ma non dovevi, ne ho già due, di panettoni! Tienilo pure, grazie!”;
oppure, come raccontai di nascosto qui, quando mi dice “No Tam grazie, non la voglio la tua pizza, la mia è molto più buona” (e ovviamente ha ragione!).
– per la golosità, come si dice nel salento, è proprio cannaruta,
però per non farsi sgamare pilucca, tipo: l’altro giorno  abbiamo fatto
le chiacchiere “io ne mangio solo una eh… che buone, me ne passi
un’altra? vabbè dai ancora una… l’ultima! a furia di ultime, se ne è spazzolate un vassoio! *

per l’ingegno e la precisione che ha in cucina, tipo: è capace di fare
polpette, a mano libera, talmente tutte uguali che se le misuri col
calibro non differiscono di un millimetro! **
Idem quando fa i
cicatelli. Tutti identici uno all’altro, vassoi e vassoi di pasta che
manco un pastificio industriale. E’ talmente precisa e metodica, pulita e
ordinata, controllata e paziente, che mi sono sempre messa in ammirata
osservazione seduta accanto a lei ogni volta che decideva di mettersi
mani in pasta, rifiutandomi solennemente di confrontarmi con cotanta
perfezione. Voglio troppo bene al mio ego per infliggergli una batosta così
grande come quella delle polpette! (vedi nota **).

* Da che si capisce da chi abbia preso la mia cannarutezza. Che si sa, di
generazione in generazione pregi e difetti si raffinano e rafforzano:
io sono talmente cannaruta che i miei figli, da piccoli, nascondevano
caramelle e cioccolato altrimenti io glieli spazzolavo senza lasciar
manco la carta, per dire.
** da che si capisce da chi non abbia
preso la mia capacità di fare polpette: non solo non c’è pericolo che ne
escano due uguali, ma se le misuri col calibro il ventaglio di misure
tra la prima e l’ultima varia dalle dimensioni di un cece a quelle di
un mandarino. Per dire.

 Poi mia madre è anche una splendida nonna dei miei figli, di cui si è occupata da quando sono nati, ma questa è un’altra (meravigliosa) storia.  ❤️

Tamara

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